Nardò

Nardò

PIATTI E PRODOTTI TIPICI
OLIVA CELLINA DI NARDÒ
Il loro gusto ricorda le more mature e vengono molto apprezzate per l’inconfondibile aroma. Sono le olive della piccola cultivar nera Cellina di Nardò, conosciuta anche come “Saracina” o “Scorranisa”. Per le loro tipiche caratteristiche organolettiche, trovano largo impiego come insostituibile ingrediente in tanti piatti della tradizione popolare come le minestre di verdure, le focacce farcite e i pani salentini conditi, come Pucce, le Uliate, Sceblasti”, ‘Mpille. Ma anche nella preparazione di ottimi dolci. L’olio ricavato dalla Cellina, ha un sapore fruttato, con sensazioni leggere di foglia, erba, e una debole fragranza di piccante. È un olio particolarmente indicato sulle verdure cotte e crude, sui primi piatti, sul pesce lesso e arrostito e sulle carni lessate.

PRINCIPALI LUOGHI DI INTERESSE STORICO ARTISTICO E CULTURALE

CHIESA DI SAN FRANCESCO DA PAOLA
La chiesa si trova appena fuori le mura del centro storico e la si incontra facilmente percorrendo la centralissima via Roma. Fu il duca Bellisario II Acquaviva d’Aragona a edificarla nel 1607, proprio nel luogo in cui c’era un’antica cappella dedicata alla Madonna di Costantinopoli. Un atto di ringraziamento per essere stato salvato da un fulmine durante una battuta di caccia. In seguito, fu concessa all’Ordine dei Minimi e dedicata a San Francesco da Paola, l’eremita dalla vita piena di prodigi. La chiesa, una struttura a croce latina con un’unica navata, è sollevata rispetto al piano stradale e vi si accede da una scalinata. Il convento attiguo è in parte di proprietà privata.

BASILICA CATTEDRALE DI SANTA MARIA ASSUNTA
Chi visita Nardò e il suo cuore barocco non può non scoprire la cattedrale dedicata alla Beata Vergine Santissima Assunta, monumento nazionale sin dal 1897 e Basilica Pontificia minore dal 1980. Fu fatta costruire dal conte normanno Goffredo nel 1080 probabilmente sul luogo dove, un tempo, c’era l’antica chiesa di Sancta Maria de Nerito, costruita da monaci orientali che nel VII secolo sfuggirono alle persecuzioni iconoclaste. La chiesa ha tre navate, le colonne e le pareti sono affrescate con pregevoli opere pittoriche. In fondo alla navata centrale si trova l’altare maggiore con il coro con stalli in legno di noce. Impossibile non conoscere la storia del Crocifisso ligneo del XII secolo, detto il Cristo Nero per la particolare colorazione scura del legno di cedro. Si narra, senza supporti storici e documentali, ma certamente con spirito devozionale, che nel 1255 i saraceni giunsero a Nardò per espugnarla, scegliendo come atto simbolico di bruciare in piazza il crocifisso. Durante l’operazione di trasporto all’esterno della chiesa, il crocifisso urtò lo stipite della porta e un dito venne completamente reciso dall’impatto. Da qui fuoriuscì un fiotto di sangue, evento che atterrì i Saraceni, che rinunciarono al proposito. Nel 2013 Poste Italiane hanno emesso un francobollo di 70 centesimi in occasione del sesto centenario della cattedrale.

CHIESA DI SANT’ANTONIO
Bellissima la storia della chiesa di Sant’Antonio, che nasce sul finire del 1400 sui resti di una sinagoga, luogo di riferimento della Giudecca, il quartiere ebraico di Nardò. Una comunità ebraica, infatti, risiedeva in quel tempo in città esercitando principalmente l’attività della lavorazione delle pelli, ma fu costretta ad abbandonarla a causa delle persecuzioni antisemite del 1496. L’area della sinagoga, ormai abbandonata, fu concessa all’ordine conventuale dei Francescani Osservanti, che vi costruirono la chiesa di Sant’Antonio di Padova e l’attiguo convento (quest’ultimo oggi è sede del Museo della Preistoria di Nardò). La facciata è stata rifatta nel Settecento ed è divisa in due ordini, secondo uno stile essenziale. Più fastoso l’interno, a navata unica, con un pregevole soffitto ligneo a cassettoni. Degno di nota il Mausoleo degli Acquaviva, grandiosa opera scultorea rinascimentale. Di recente è stato portato a termine un corposo intervento di consolidamento e restauro. La chiesa si trova nel vecchio pittagio San Paolo, nel centro storico, su un lato della omonima piazzetta, anch’essa negli anni scorsi oggetto di lavori di riqualificazione.

CHIESA DI SAN DOMENICO
Volute, putti, creature, elementi floreali sulla facciata fanno della chiesa di San Domenico, a pochi passi da piazza Salandra, cuore della città, una delle testimonianze più belle e significative del barocco a Nardò. Da sempre, questo meraviglioso prospetto in carparo incanta i visitatori, prima ancora della sua storia, dei particolari stilistici, del patrimonio artistico e architettonico che custodisce. Intitolata anticamente a S. Maria de Raccomandatis, fu affidata ai padri domenicani residenti nel convento adiacente agli inizi del XIV sec. e fu ricostruita tra il 1580-94 da Giovanni Maria Tarantino. Il terremoto del 1743 la danneggiò gravemente, come molti altri immobili della città. L’interno della chiesa fu completamente ricostruito ad opera di fra’ Alberto Manieri, architetto domenicano e priore dello stesso convento. Vale senza dubbio approfondire la conoscenza della struttura all’interno, delle decorazioni, dei dipinti, degli altari. Bellissimo l’altare in marmo dedicato alla Madonna del Rosario, con un dipinto ad olio su tela, opera del pittore neritino Donato Antonio D’Orlando. L’ex convento dei frati adiacente alla chiesa è attualmente sede del Liceo Artistico.

CHIESA DELLA BEATA VERGINE MARIA INCORONATA
Appena ai margini del centro abitato, la chiesa dell’Incoronata è un piccolo gioiello, con i suoi conci di carparo e la pianta a croce latina. Eretta nel 1599 nel luogo in cui c’era una grotta con un affresco trecentesco raffigurante la Vergine Maria incoronata da Gesù, rappresenta la sublimazione dello stile di Giovanni Maria Tarantino, noto architetto neritino. Alla chiesa è annesso un convento, oggi in disuso, affidato nel 1634 all’Ordine degli Agostiniani, che lo hanno occupato sino agli inizi dell’Ottocento. Per lungo tempo nel secolo scorso la chiesa è rimasta chiusa e poi sottoposta a un lungo intervento di consolidamento e restauro. Solo nel 2016 è stata riaperta al pubblico. La si raggiunge facilmente percorrendo via Incoronata che dal nucleo urbano conduce in periferia e poi verso il mare.

CHIESA DELLA BEATA VERGINE DELLA PURITÀ
La facciata, di ispirazione borrominiana, accoglie i visitatori della chiesa della Purità, voluta nel Settecento dal vescovo Antonio Sanfelice nell’ambito della costruzione dell’attiguo Conservatorio di Santa Maria della Purità, che nacque come un istituto per l’educazione delle giovani donne della diocesi “pericolanti nella fede”. La chiesa è uno dei pochi edifici religiosi ancora esistenti disegnati dall’architetto Ferdinando Sanfelice, fratello del vescovo. La chiesa della Purità si trova all’inizio di via Sambiasi, nel centro storico. È un piccolo scrigno, con una pianta a croce greca, l’altare maggiore in marmo policromo e alcune tele molto interessanti.

BEATA VERGINE MARIA DEL CARMELO
Due imponenti leoni accolgono i visitatori della chiesa del Carmine, nel cuore del centro storico. Forse un po’ immeritatamente, sono loro a catturare l’attenzione (e tanti scatti) e a distoglierla inizialmente dal complesso della facciata, con i suoi motivi romanici, le nicchie con le statue dell’Angelo nunziante e della Vergine Annunziata e, nell’ordine superiore, un architrave decorato e un ampio finestrone. Gli stucchi barocchi, le tele e gli altari arricchiscono l’interno e suggeriscono indubbiamente una visita. C’è un documento che attesta l’esistenza della chiesa, inizialmente dedicata a Santa Maria Annunziata, già nel 1460. L’immobile ha subìto vari interventi di ristrutturazione, tra cui due particolarmente significativi: quello successivo all’assedio delle truppe francesi del generale Lautrec, intorno alla metà del 1500, e quello successivo al terremoto del 1743. Percorrendo l’asse viario che “taglia” il centro storico, si incontra la chiesa a metà strada tra piazza Salandra e porta San Paolo, uno dei quattro antichi ingressi della città. Annesso alla chiesa c’è l’ex complesso conventuale dei carmelitani scalzi, oggi sede di alcuni uffici comunali.

CHIESA DI SANTA TERESA
Il centro storico neretino ospita anche la chiesa dedicata a Santa Teresa di Gesù, in onore di Teresa Adami, suora neretina, che diresse per molti anni il monastero delle Carmelitane Scalze nell’attiguo convento. La struttura attuale della chiesa risale alla seconda metà del Settecento, quando fu ricostruita dopo il terremoto del 1743. Ha alcuni profili rococò e all’interno vale la pena ricordare il maestoso altare in pietra e marmi policromi, sovrastato da un dipinto ad olio raffigurante l’Estasi di S. Teresa, i ricchi decori con stucchi elegantissimi e la statua in cartapesta raffigurante San Biagio, quest’ultima oggetto di profonda venerazione da parte dalla comunità locale. Patrono degli otorinolaringoiatri, i fedeli si rivolgono al medico San Biagio per la guarigione dalle malattie della gola (salvò, tra gli altri, un bambino che soffocava a causa di una lisca di pesce). Ogni 3 febbraio i neretini onorano il rito della benedizione della gola da parte dei sacerdoti e diaconi, dalle prime ore del giorno fino a tarda serata.

CHIESA E MONASTERO DI SANTA CHIARA
La chiesa sorge accanto al monastero delle Clarisse, uno dei più antichi dell’Italia meridionale, che ha accolto sin dal Trecento donne appartenenti alle nobili e facoltose famiglie di Nardò e della Terra d’Otranto, votate alla clausura. La costruzione della chiesa risale al Seicento, le decorazioni riflettono lo stile di un barocco che si avvia verso il rococò. Ha una pianta rettangolare, con un’unica navata e tre cappelle su ognuno dei due lati (impreziosite da pregevoli dipinti del XVII e del XVIII secolo). Il pavimento è ad ottagoni di marmo bianco e grigio. Nel corso del Settecento la chiesa e il convento hanno subito alcuni interventi di ristrutturazione, anche a seguito del terremoto del 1743. Degno di nota lo scalone che porta al primo piano del monastero, opera dell’architetto napoletano Ferdinando Sanfelice (fratello di Antonio Sanfelice, vescovo della diocesi di Nardò nel corso dello stesso secolo).

CHIESA DI SAN TRIFONE
È la chiesa che si affaccia su piazza Salandra, al centro della città. Una imponente facciata barocca tradisce uno spazio interno abbastanza modesto, costituito da un’unica navata e un unico altare tardo barocco in pietra e stucco, con un dipinto settecentesco raffigurante San Trifone, a cui i neretini devotamente si rivolsero per la liberazione delle campagne dalla piaga dei bruchi. La chiesa fu edificata tra il 1720 e il 1723 per volontà del vescovo Antonio Sanfelice, nel punto in cui c’era un piccolo oratorio. A questo luogo di culto è associata la sorte misteriosa di una preziosa tela raffigurante san Gregorio Armeno, protettore della città, opera di Ferdinando Sanfelice e un tempo inserita nel controsoffitto ligneo. Rimossa nel 1959 per alcuni lavori di riparazione, non è mai più ritornata al suo posto.

CHIESA DI SAN GIUSEPPE
Un’altra bellissima chiesa nel cuore antico della città è la chiesa intitolata a San Giuseppe Patriarca, riedificata nel 1758 in sostituzione di una preesistente chiesa costruita tra il XVI e il XVII secolo. L’edificio risente molto dell’influsso dell’architettura leccese, in particolare della chiesa di San Matteo e della sua facciata a tamburo, di chiara derivazione borrominiana. Di rilievo, sulla facciata, l’iscrizione “De Domo David”, motto della Confraternita di San Giuseppe. L’interno è a pianta ottagonale con altare maggiore valorizzato dal pregevole bassorilievo, di autore ignoto, che rappresenta la Fuga in Egitto. La chiesa ha altri tre altari in pietra con grandi pale su tela raffiguranti san Giuseppe, sant’Apollonia e sant’Oronzo.

CHIESA DI SANTA MARIA DELLA ROSA
Nel cuore del centro storico si trova anche la piccola chiesa di Santa Maria della Rosa, di cui vale la pena conoscere la storia. Della sua edificazione è complice un prodigio: la Vergine Madre della Rosa, raffigurata in un’icona di una vecchia cappella diroccata di un palazzo nobiliare, parlò a una fanciulla del luogo lamentando l’abbandono in cui era tenuta la sua immagine. Per questo si pensò di costruire una chiesa per ospitare l’icona stessa, che venne terminata e aperta al culto nel 1611. Il crescente afflusso di fedeli costrinse poi ad ampliare (nel 1620) l’edificio nella forma attuale. L’edificio è opera dell’architetto Giovanni Maria Tarantino, ha sul fronte un unico ingresso decorato e sormontato da un finestrone. Ha un campanile a vela, mentre all’interno l’unica navata è scandita da archi a tutto sesto. Sull’altare in pietra leccese trova spazio l’antica icona della Madonna. Restano poche tracce, invece dei dipinti murali. Dopo il terremoto del 1743 la chiesa ha ospitato a lungo la Confraternita di San Giuseppe (la chiesa di San Giuseppe, infatti, subì moltissimi danni). Dopo l’Unità d’Italia, fu abbandonata e la proprietà passò a privati, che solo nel 1982 l’hanno donata alla Diocesi (che ha provveduto al suo restauro).

CHIESA DI SANTA MARIA IMMACOLATA
È una chiesa dalle origini molto antiche e la sua storia si intreccia con quella di re Carlo I d’Angiò, che tramite Filippo de Toucy nel 1271 donò ai francescani il vecchio castello normanno, costruito nel punto più alto della città, da adibire a convento. Sui resti dello stesso nacque anche la chiesa, inizialmente dedicata a San Francesco d’Assisi e solo nel 1830 consacrata all’Immacolata. Mentre il convento attiguo è ora un’abitazione privata. Dalla sua la chiesa ha un elegante prospetto in carparo diviso in due ordini, una nicchia con la statua in pietra leccese dell’Immacolata e, all’interno, un’unica navata terminante nel presbiterio e tre altari laterali in stile barocco. La chiesa dell’Immacolata si trova sul lato destro di una breve salita adiacente l’ufficio postale della città, in corso Garibaldi. Le sue origini datate, il suo valore artistico e le complesse vicende storiche della costruzione, della fase di abbandono e della recente riapertura al culto, ne fanno l’opera simbolo della evoluzione dell’arte e dell’architettura della città.

PIAZZA SALANDRA
Piazza Salandra è stata ed è ancora il cuore pulsante della città. L’antica piazza delle Legne, riconoscibilissima grazie alla caratteristica guglia dell’Immacolata al centro, oggetto prediletto dei più sofisticati instagramers di tutto il mondo, ospita il Sedile, la chiesa di San Trifone, il vecchio palazzo dell’Università (poi pretura) con la caratteristica colonnata, la fontana del Toro.

PALAZZO SAMBIASI – EX MONASTERO DELLE CARMELITANE SCALZE
Il palazzo nasce come residenza nobiliare nel Medioevo. Vicende molteplici si sono susseguite in tempi diversi tracciando, attraverso matrimoni prestigiosi, eredità, donazioni, la lunga storia patrimoniale di questo palazzo, il quale muta completamente nel 1976 la sua destinazione in convento delle Teresiane, per poi tornare, dopo la soppressione dei beni ecclesiastici, ad essere nuovamente riorganizzato in abitazione signorile. Attraversare la soglia del portone di accesso del palazzo significa catapultarsi nel profondo passato storico, tra i paradossi di un antico fasto nobiliare e la segreta dimensione della preghiera, tra gli splendidi decori cinquecenteschi del vasto salone di rappresentanza e i sobri luoghi di raccoglimento utilizzati dalle suore.

PALAZZO MANIERI-ZUCCARO
Il palazzo sorge adiacente a piazza Pio XI, in angolo fra corso Garibaldi e via Duomo nel pittagio Castello Veteris. La dimora apparteneva alla nobile famiglia neretina Manieri, la quale fu proprietaria del feudo Persano, acquistato nella seconda metà del XVIII sec. dal ricchissimo e nobile Ermenegildo Personè. Il palazzo nel 1789 fu abitato dalla baronessa Marianna Manieri e dal suo sposo Antonio Tafuri, barone del feudo di Melignano. Successivamente fu ereditato da Camillo Tafuri e da questo passò alla figlia Chiara, che lo portò in dote nel matrimonio con Nicola Zuccaro. Tale proprietà rimase nella titolarità dei discendenti Zuccaro fino a poco tempo fa. Attualmente i nuovi proprietari del palazzo si stanno prodigando per restaurare il palazzo e riportarlo a quella veste di signorilità ed eleganza che ha sempre avuto nei tempi passati.

PALAZZO SAMBIASI – DELLA PORTA
Situato nell’antico Pittagio San Salvatore si sviluppa con la sua fronte maggiore lungo la via Don Minzoni che immette nella piazza e al cospetto della cattedrale e, sui lati minori, sull’antica via Lata. È una tra le emergenze architettoniche più rilevanti del tessuto morfologico e storico di Nardò. Il palazzo, imponente e austero nel suo complesso, ha uno sviluppo verticale su tre livelli e risalta proprio per la sua altezza rispetto agli altri edifici vicini. Le ricerche svolte sulle origini e sui vari passaggi di proprietà attribuiscono la costruzione, intorno al XV sec. alla stirpe dei Sambiasi. Successivamente una parte del palazzo passa ai Della Porta e nel 1610, questa viene venduta e suddivisa in tre proprietà. La presenza di numerose sale di ampie dimensioni fa supporre che il palazzo sia stato sede di Universitas, come centro di studi, di attività congressuali, riunioni pubbliche, scuole. Intorno al 1950 l’intero immobile fu venduto a Giuseppe Caputo e ancora oggi appartiene a uno degli eredi, Norberto Pellegrino.

PALAZZO VESCOVILE
Il Seminario Vescovile fu istituito nel 1674 dal vescovo Tommaso Brancaccio sul luogo dove sorgeva dal 1343 l’Ospedale di S. Antonio o della Misericordia, che fu trasferito dove oggi c’è il Conservatorio. Per ampliare gli spazi e renderli più funzionali il vescovo Antonio Sanfelice acquistò una serie di abitazioni private e botteghe, che trasformò realizzando l’intero lato sud dell’edificio e parte del lato prospicente la Cattedrale. Nel corso degli anni il Seminario fu più volte ampliato e restaurato. Il palazzo Vescovile fino agli inizi del XIX sec. occupava gran parte dell’attuale piazza Pio XI, che non esisteva, costeggiato da via Duomo, che davanti alla Cattedrale si allargava alquanto, dopo che nel 1725 la sua facciata fu arretrata di oltre sette metri. Nel 1831 il vescovo Salvatore Lettieri avviò l’opera di abbattimento e ricostruzione dell’Episcopio, la cui facciata fu arretrata fino ad essere messa in linea con la Cattedrale, creando la piazza antistante. Diversi sono stati gli interventi negli anni. Attualmente il primo piano è adibito a residenza del vescovo e al pianoterra vi sono gli uffici della Curia Diocesana.

CASA A CORTE
Ubicata nell’antico pittagio Castelli Veteris, l’abitazione di via Tafurelle conserva la tipologia di casa a corte. Ad essa si accede attraverso un elegante portale realizzato interamente a stucco, databile alla seconda metà del Seicento. L’assenza di documenti non permette di individuare a chi appartenesse l’originaria costruzione realizzata tra la metà del XVI sec. e la metà del XVII sec. Il piano terra dell’edificio nel corso degli anni ha spesso mutato la sua destinazione d’uso, tra quelle degne di nota si ricorda quella avuta tra il 1934 e il 1936 come stabilimento della ditta “Premiata Inchiostri Leone” di Salvatore Napoli Leone, personaggio poliedrico e geniale inventore neretino.

PALAZZO TAFURI
Il palazzo era la dimora dell’antica famiglia dei Tafuri, la cui traccia storica più remota risale al XIV sec. Nel 1753 il palazzo risulta proprietà di Giovan Bernardino Tafuri, scrittore fecondo, storico, poligrafo, che fondò nel 1724 l’Accademia degli Infimi Rinnovati, dando nuovo impulso alle lettere. La costruzione del palazzo nel Pittagio Sant’Angelo risale al Seicento, in buona parte modificata nel tempo, sia dopo i danni provocati dal violento sisma del 1743, sia da interventi di carattere funzionale. La facciata del palazzo è stata completamente ricostruita nel 1841 in stile neoclassico, gusto predominante in quel periodo nel tessuto urbano neretino.

PALAZZO DE’ PANDI
Proprio a ridosso della Chiesa di San Giuseppe, è uno dei palazzi più antichi e importanti della città, probabilmente esistente nel XV sec., il quale conserva ancora, quasi integro, sul lato di via S. Lorenzo, l’aspetto originario tardo cinquecentesco. Apparteneva alla famiglia de Pandi, di antica nobiltà napoletana, la quale, insignita dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, si trasferì, intorno al XIII sec. dal paese di origine, Scala, nei pressi di Salerno, in Brindisi e poi a Nardò. Con il matrimonio in seconde nozze della nobile Francesca Giulio, vedova de Pandi, la proprietà passò a Luigi Zuccaro e agli eredi a seguire, fino ad arrivare ai giorni nostri. Ancora oggi il palazzo è di proprietà Zuccaro. Nell’atrio del cortile d’ingresso, a sinistra del portone, si accede, là dove un tempo era la selleria, ad un piccolo museo storico che gli attuali proprietari hanno allestito per custodire gli antichi finimenti dei cavalli e delle carrozze di proprietà della famiglia de Pandi. Gli ambienti interni, lussuosamente decorati con carte da parati e pitture parietali ottocentesche e un raffinato mobilio, conservano intatti i segni del luminoso passato. Infatti nel 1942 il figlio di Luigi Zuccaro, Francesco, fu ben felice e orgoglioso di poter ospitare a pranzo il figlio del Re d’Italia, Umberto II di Savoia, il quale si era fermato a Nardò.

PALAZZO PERSONÈ
Il palazzo è situato nella via principale dell’antica cinta murata della città storica di Nardò, denominata Lata, dal latino larga, per il suo dimensionamento più allargato rispetto alle altre strade pubbliche. Situato nel Pittagio Sant’Angelo, fu denominato palazzo dalle cento stanze per le numerosissime stanze con cui fu censito nel catasto ottocentesco. Il palazzo si sviluppa su quattro piani, la posizione sulla via principale del centro antico con l’affaccio sulla bellissima chiesa prospicente di San Giuseppe evidenziano lo status sociale del proprietario. Infatti, i Personè, baroni di diversi feudi a Nardò, formavano la più ricca famiglia del territorio neretino, insieme con quella dell’altro barone Massa.

PALAZZO ZUCCARO
L’imponente palazzo si erge di fronte alla chiesa di Santa Chiara e all’annesso convento delle suore di clausura, che risale alla seconda metà del XIV sec. Eretto nel XVI sec., l’edificio ha subito nel tempo vari rimaneggiamenti ed ampliamenti, che ne hanno completamente modificato la facies originaria. Di proprietà della famiglia Zuccaro già nel 1753, qui è nato e vissuto Giovanni Pietro Maria Zuccaro uomo abile, accomodante e di idee liberali. Egli fondò nel 1860 l’Associazione Costituzionale Neretina. Organizzò gli operai neretini e costituì la Società Operaia di Mutuo Soccorso. Il palazzo rimase di proprietà degli Zuccaro finchè Raffaella Zuccaro non lo portò in dono al marito Michele Giulio. Il figlio Emanuele lo donò al figlio Michele la cui vedova oggi continua a mantenere vitale il grande complesso edilizio.

PALAZZO DEL PRETE
Palazzo Del Prete, attiguo alla Chiesa dell’Immacolata, sorge sul preesistente sito del regium castrum, la prima fortezza presente a difesa della città dagli attacchi dei turchi provenienti dalla strada per Taranto, che dava il nome all’omonimo pittagio Castelli Veteris. Nel 1271 Carlo I d’Angiò dispose che sul luogo del vecchio castello normanno-svevo, ormai abbandonato, si potessero insediare i Minori Conventuali. Il loro convento fu il primo insediamento francescano della Puglia nonché fiorente centro studi. Qualche tempo dopo i frati chiesero allo stesso feudatario parte del restante suolo per costruire anche una chiesa che quasi 300 anni dopo, nel 1850, il vescovo Luigi Vetta dedicò alla Beata Vergine Immacolata.

PALAZZO A CORTE CON MIGNANO
Il palazzo di via Lata, appartenuto alla nobile famiglia degli Acquaviva, duchi di Nardò dal 1497 e proprietari dell’adiacente castello, fu costruito probabilmente nel XVI sec.. La proprietà passo poi alla nobile e ricchissima famiglia Massa, originaria di Sorrento e Gragnano. La discontinuità nell’impianto murario, le manomissioni, come finestre di nuova apertura e altre murate, palesano una continua riformulazione dell’impaginato di questa struttura edilizia dovuta, anche, alla continua divisione in più particelle ereditarie nell’arco di ben cinque secoli. Ruolo egemone di questa struttura è affidato all’apparato decorativo del portale sovrastato da un singolare balcone, chiamato comunemente mignano. Il mignano è un motivo architettonico tipico salentino di rilevante valore storico e ambientale, poiché rappresenta l’elemento di diaframma fra lo spazio interno della corte e la strada, testimonianza di modi di vivere tradizionali, di comportamenti sociali, quali l’esigenza della riservatezza familiare, della discrezione, del bisogno di partecipare alla vita della strada senza essere nella strada.

PALAZZO DELL’ABATE
Costruito nella seconda metà del XVIII sec., rappresenta l’unico esempio di palazzo barocco neretino. È organizzato in modo insolito su tre lati disposti ad angolo retto, i quali racchiudono una corte aperta sulla strada. Nella parte posteriore il palazzo confina con la Chiesa di San Giovanni Battista, che fu ricostruita dalla stessa famiglia Dell’Abate nel 1723. Attualmente il palazzo è disabitato ed è di proprietà della famiglia Zuccaro.

PALAZZO MICHELE PERSONÈ
Situato in una posizione invidiabile e di grande prestigio, esattamente di fronte alla Cattedrale, il palazzo non poteva non essere abitato dalla famiglia più in vista del paese, i Personè, baroni del feudo di Ogliastro, sulla strada provinciale Nardò-Copertino. Il feudo apparteneva alla nobile Antonia De Pantaleonibus, che lo portò in dote al marito Lucantonio Personè il 15 ottobre 1598, e da lì al figlio Diego e ai discendenti Personè. Attualmente si sviluppa su due piani con un impianto classicheggiante.

PALAZZO DE PANTALEONIBUS
Il grosso blocco edilizio si estende su un’ampia area nel centro urbano tra la più stretta via Immacolatella e la principale via Lata. Si trova, quindi, al confine del Pittagio San Salvatore con i rioni Pittagio Castelli Veteris e Pittagio Sant’Angelo. Il palazzo fu costruito probabilmente tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento ad opera di abili maestri muratori neretini. Attualmente parte del palazzo appartiene alla famiglia Giuri, mentre la restante è stata acquistata dalla famiglia inglese Stacey, la quale, consapevole del valore storico dell’immobile, sottoposto sin dal 1935 a tutela dalla Sovrintendenza per i Beni Architettonici Ambientali ed Artistici, ha commissionato i lavori per un restauro rispettoso delle testimonianze storiche e artistiche sedimentatesi nei secoli passati.

PALAZZO TAFURI – SANGIOVANNI
Il palazzo sorge sulle rovine di più abitazioni risalenti al XVI nell’antico Pittagio San Paolo, lo stesso quartiere che aveva accolto la comunità ebraica sino al 1942. Quest’immobile in via Tafuri fu completamente ricostruito dalla famiglia Tafuri nel 1842 in stile neoclassico. L’atmosfera che si respira nelle immense stanze del palazzo è quella tipica ottocentesca, con grandi sale dai soffitti affrescati secondo i gusti pittorici propri del Neoclassicismo.

PALAZZO SAMBIASI
Nel Pittagio S.Paolo, sostando nella piazzetta antistante la barocca facciata della chiesa di San Domenico, si può già intravedere un portale con la ghiera decorata in pietra leccese, sul lato sinistro di via Sambiasi. Da questo portale si accede in un grande cortile aperto su cui si affaccia il palazzo Sambiasi risalente al XVI sec. Negli antichi atti notarili l’edificio è registrato come corte palaciata. La residenza sorge nell’area di espansione del convento dei Padri Predicatori, uno dei primi insediamenti dei Domenicani in Puglia. Probabilmente nel XIV sec. era la foresteria gestita dai monaci. Nel 1937 il palazzo Sambiasi è stato acquistato dalla famiglia Gaballo. Il palazzo testimonia l’impegno e la dedizione che il proprietario Enrico Gaballo ha sempre riservato alla conservazione e al mantenimento nel tempo di questo bene architettonico, con attenti ed importanti restauri.

PALAZZO CHIODO
Situato nella via principale dell’antica cinta muraria della città, nel Pittagio San Salvatore, è uno dei palazzi più maestosi del centro antico, già esistente nella prima metà del Cinquecento. Dagli atti notarili risulta appartenente al nobile neretino Vittorio Chiodo, capitano di ventura, il quale combattè valorosamente al servizio di Carlo V. Il palazzo passò alla famiglia Sambiasi, poi a quella dei Massa e dal 1752 diventò proprietà Personè. Attualmente il palazzo, di proprietà Fonte-Muci, sembra aver mantenuto la stessa conformazione ottocentesca: nove aperture si dispongono in facciata in asse sui due piani, delimitati da una regolare cornice per tutta la sua lunghezza.

PALAZZO COLOSSO
Il palazzo fu fatto costruire nel 1892 da Domenico Colosso, originario di Ugento, il quale, sposando una nobildonna neretina della famiglia Tafuri volle trasferirsi a Nardò. Il palazzo fu edificato sui resti della cinquecentesca Porta San Paolo che si apriva sul versante orientale delle mura civiche di fronte all’antico slargo della Chiesa della Carità. La residenza gentilizia si affaccia su piazza della Repubblica, che viene comunemente detta dai neretini piazza Tre Palme per la storica presenza delle piante esotiche proprio nella piazza antistante l’ingresso.

TORRE DEL FIUME – QUATTRO COLONNE
Conosciuta inizialmente come Torre del Fiume di Galatena, o semplicemente come Torre Fiume, è oggi più comunemente nota col nome di “Quattro Colonne”. Torre Fiume era una vera e propria fortezza, un piccolo castello, a protezione di una ricca sorgente d’acqua dolce dalla quale prende il nome. Oggi, rimangono solo i suoi quattro grandi bastioni angolari. Comunica visivamente al sud con Torre dell’Alto Lido e a nord con Torre Santa Caterina.

TORRE ULUZZO
A ridosso del Parco di Porto Selvaggio, a quasi 100 metri dal mare e a un’altitudine di 32 metri si erge Torre Uluzzo. Ormai in parte crollata e ridotta in rudere, è stata recentemente restaurata. Detta anche Crustano la torre deve il suo nome a uluzzu nome dialettale con cui viene indicato l’asfodelo, pianta delle gigliacee presente nella macchia mediterranea circostante. Torre Crustano, poi Uluzzo, insieme a torre Inserraglio, vennero costruite in un secondo momento, rispetto alle altre cinque più possenti della costa neretina. Il nome Crustano secondo alcuni, deriverebbe invece da ‘crusta’ (incrostazione) da intendersi, in questo caso, come il rivestimento, sulla testa, della ‘rozza’ torre, del secondo piano (quello dei voltini), trattato con cura e controllata composizione. Torre Uluzzo comunicava visivamente a sud con Torre dell’Alto e a nord con Torre Inserraglio. Si trova su di un dirupo, a strapiombo sul mare, che caratterizza un incantevole insenatura, tra l’altro area di notevole interesse archeologico nota per alcuni dei giacimenti preistorici più conosciuti a livello europeo, tra questi La Grotta del Cavallo, dove è stata scoperta una cultura autoctona del Paleolitico superiore denominata uluzziana.

TORRE SANT’ISIDORO
Di Torre Sant’Isidoro sappiamo con certezza che nel 1622 fu necessario ricostruirla dalle fondamenta. I lavori della ricostruzione furono aggiudicati al neretino Giovanni Vincenzo Spalletta, questo ne affidò l’esecuzione ai concittadini: Ortensio Pugliese, Giovanni Francesco Mergula e Francesco Antonio Pugliese, che portarono a compimento i lavori nel 1624. Compare in tutta la cartografia antica. Fu censita in cattivo stato nel 1825 da Primaldo Coco e fu abbandonata intorno al 1842.

TORRE SANTA CATERINA
Torre Santa Caterina è una sorprendente scoperta nel mezzo di una pineta, a 200 metri dal mare e a un’altitudine di circa 32 metri. Detta anche Scorzone (serpente in dialetto), probabilmente mutuato dalla forma sinuosa della roccia sottostante, ancora oggi noto come Punta dell’Aspide, è la prima torre a sud tra quelle classificate come serie di Nardò a base quadrata. Si trova al centro tra la Torre del Fiume a sud e la Torre dell’Alto a nord. Arretrata rispetto alla costa e circondata da alti pini, la torre si trova a pochi passi dalla vitalità vacanziera della marina, ma nonostante ciò si ha la percezione di un’atmosfera che evoca tempi lontani.

TORRE INSERRAGLIO
Nell’omonima località, si erge Torre Inserraglio a meno di 50 metri dal mare e a un’altitudine di circa 3 metri. Torre Inserraglio (detta anche di Critò, alterazione dialettale di critmo, finocchio marino) comunicava visivamente a sud con Torre Uluzzo e a nord con Torre Sant’Isidoro. Si trova in una zona poco urbanizzata.

PRINCIPALI EVENTI FESTE PATRONALI MERCATI E SAGRE

20 FEBBRAIO FESTA DI SAN GREGORIO ARMENO
Era il 20 febbraio 1743 quando la città di Nardò venne sconvolta da un violento terremoto che sgretolò tutto dalle cupole delle chiese ai campanili e alle case. Pare che dall’alto del sedile, i santi Michele e Antonio caddero e resistette solo San Gregorio mentre accoglieva le preghiere della folla in panico. Da quel momento Nardò celebra il suo Santo con un importante programma di festa patronale.

18 E 19 MARZO FESTA DI SAN GIUSEPPE PATRIARCA
Due giorni di festeggiamenti civili e religiosi, il 18 e 19 marzo dedicati a San Giuseppe Patriarca, titolare della omonima confraternita e della chiesetta edificata nel 1758 per la straordinaria devozione al padre putativo di Gesù. Il programma non prevede solo riti religiosi ma anche una importante fiera mercato che anima le vie del centro della città e l’esibizione dei concerti bandistici.
VENERDÌ MERCATO SETTIMANALE
DOMENICA MERCATO STAGIONALE SANTA MARIA AL BAGNO
DOMENICA MERCATO SETTIMANALE SANT’ISIDORO
DOMENICA MERCATO SETTIMANALE BONCORE

PUNTI DI INFORMAZIONE TURISTICA
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