Squinzano

Squinzano

PIATTI E PRODOTTI TIPICI
IL MARZAPANE DI SQUINZANO

1 Kg di mandorle tritate
800 g di zucchero
Uova q.b.
Cannella
Scorza di limone grattugiata
Liquore aromatico (ad esempio Strega)
Per il ripieno Cotognata Leccese

Unire tutti gli ingredienti. Stendere l’impasto formando strisce di 10 cm di larghezza. Farcire con cotognata leccese e chiudere a portafoglio. Tagliare a rombi di circa 5 cm e infornare in forno preriscaldato a 180 gradi per 15/20 min.


VINO SQUINZANO DOC

Lo Squinzano DOC è un ottimo vino da pasto prodotto nelle province di Brindisi e Lecce, nelle due varianti rosso e rosato ed è un abbinamento eccellente per piatti di pesce o carne e selvaggina. Prodotto anche nella versione riserva, lo Squinzano DOC è ottenuto da vitigni Negroamaro per un minimo del 70% e Malvasia Nera di Brindisi, Malvasia Nera di Lecce e Sangiovese, fino a un massimo del 30%. Il rosato è di un bel rosa con un profumo persistente, vinoso e fruttato; al gusto risulta secco, caldo, quasi morbido. Il rosso è di un tipico rosso con riflessi arancione con l’invecchiamento, profumo vinoso e sapore robusto ma vellutato. La gradazione alcolica minima è di 12,5 gradi per rosso e rosato e di 13 gradi per il riserva.

PRINCIPALI LUOGHI DI INTERESSE STORICO ARTISTICO E CULTURALE
NUNZIATEDDHRA
La Nunziatedda (situata in Via dell’Ave Maria) è un’edicola sacra molto cara agli abitanti di Squinzano, meta ancora oggi d’incessante devozione. Sorge infatti nel luogo in cui la Madonna apparve a Maria Manca, la pia donna a cui si deve la costruzione del Santuario della SS. Annunziata. Il popolo squinzanese assegnò al luogo dell’apparizione questo termine vezzeggiativo Nunziatedda (che significa “piccola Annunciazione”), proprio perché la Vergine si era presentata alla giovane Maria sotto le sembianze di una bambina. Come infatti ricorda il distico elegiaco, dettato dal sacerdote don Carlo Capuzzimadi nell’agosto del 1767, posto sull’arco d’ingresso (CARPENTEM HIC OLEAS DONAVIT FLORE MARIAM DELAPSA AETHEREIS VIRGO BEATA POLIS, cioè “la Beata Vergine discesa dalle sfere celesti donò un fiore a Maria che qui coglieva le olive”), nel 1618 Maria Manca, allora posseduta dal demonio, mentre era intenta a raccogliere le olive, vide una bambina offrirle un garofano rosso, ricevendone l’ordine di portarlo alla chiesa del SS. Crocifisso a Galatone, così da essere liberata dal demonio. Nel palmo della sua mano rimase per sempre non solo l’impronta del garofano ma anche il suo profumo.

SANTUARIO DELL’ANNUNZIATA
La Chiesa dell’Annunciazione (situata in Via Torchiarolo) fu eretta a devozione della pia donna Maria Manca, morta in odore di Santità nel 1668. I lavori iniziarono il 12 novembre del 1618, subito dopo che la Madonna, apparsale il 21 ottobre appena trascorso, mentre raccoglieva olive in un suo campicello, la liberò dal demonio e le offrì un garofano da consegnare al SS. Crocefisso di Galatone (LE). La costruzione fu ultimata nel 1627, grazie anche alle offerte da lei raccolte un po’ ovunque in provincia, come sottolinea giustamente il vescovo Luigi Pappacoda nella sua Visita Pastorale del 1640. Lo storico Primaldo Coco attribuisce il progetto e la sua esecuzione ad un tal mastro muratore Marcello Ricciardi di Lecce, ed aggiunge che, alla morte della già nominata pia donna, la chiesa continuò ad essere un richiamo per Squinzanesi e forestieri, che vi si recavano per adorare l’immagine della Madonna, e pregare sulla tomba di quell’umile e devota creatura, cui la Beata Vergine era apparsa tra gli ulivi in quell’autunno del 1618. Si racconta addirittura che fra’ Giuseppe da Copertino, divenuto poi Santo, trovandosi a passare un giorno da Squinzano, volle visitare la chiesa, e celebrare la S. Messa, durante la quale ebbe una delle tante sue estasi, sollevandosi due palmi da terra. Storia o leggenda che sia, un fatto è certo: verso la metà del XVII secolo, per ospitare i pellegrini sempre più numerosi, furono aggiunti due vani dietro all’altare maggiore, sopra cui, poi, si costruirono altre stanze con un bellissimo loggiato, un cortile con porticato ed una cisterna al centro. Questi, e molti altri ancora, furono i presupposti su cui mons. Antonio Caricato, sul finire degli anni ’60, impostò l’istanza di erezione a Santuario di questo plurisecolare edificio sacro, ottenendone il benevolo accoglimento da parte del Vescovo, mons. Francesco Minerva, che il 25 marzo del 1971 ne decretò solennemente la proclamazione.

CHIESA E CONVENTO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE
L’origine della Chiesa e del Convento di Santa Maria delle Grazie (situata in Piazza Vittoria) è dovuta ad una sorta di due “ex voto”: la prima cominciò a nascere, infatti, per volontà del popolo come ringraziamento, quando nel 1560 Squinzano riuscì a liberarsi dall’assoggettamento feudale di Lecce, divenendo così un comune demaniale alle dipendenze dirette di un governatore regio; il secondo sorse, invece, quando nel 1623 si volle riacquisire il regime di feudalità, affidandosi alle mani del principe Giovanni Enriquez, il quale entro due anni ne portò a termine la costruzione, progettata per ospitare i Padri Conventuali Riformati. Ma il “conventino” già nel 1652 dovette esser chiuso per un forte calo vocazionale, divenendo covo e rifugio di malfattori, finché non giunse nel 1671 un’altra comunità religiosa: i Riformati Scalzi o PP. Alcantarini. Alla fine del XVII secolo, però, l’impianto della chiesa subì trasformazioni importanti: utilizzando il corridoio del chiostro, si creò la navata destra, mentre la sinistra fu costruita ex novo. E tutto ciò grazie alla devozione del giovane principino Giovanni Enriquez e di sua moglie, che vollero ingrandirla ed abbellirla di tutto punto. Anche il convento è stato oggetto di notevoli rifacimenti ed abbellimenti nel corso dei secoli, sia prima della soppressione degli Ordini Religiosi che dopo, soprattutto in occasione di vicende eccezionali, tipo quella di dover ospitare nel 1859 Re Ferdinando II e consorte in viaggio per Lecce. Infatti, tranne quando venne ceduto al Comune, per effetto del decreto regio del 1866, perché ne facesse un uso sociale, allocandovi una scuola, o un ospedale, o anche un mendicicomio, quel fervore di restauri e ristrutturazioni si bloccò, per riprendere all’indomani del 1901, quando i frati riuscirono a riscattarlo, versando al Comune 15.000 lire. Da allora fino ad oggi la voglia di abbellire chiesa e convento è rimasta inalterata. Prove più significative ne sono la pitturazione murale, che si realizzò splendidamente sull’intero edificio sacro negli anni ’40, ed i grandi restauri del 1954.

CHIESA MATRICE (SAN NICOLA)

Nella Chiesa matrice, dedicata al patrono San Nicola (e situata nell’omonima Piazza San Nicola), è da ammirarsi il pregevole coro ligneo, intagliato in noce scuro nel 1843 dall’ebanista Giuseppe Fella di Oria. Sono altresì da notare alcune antiche tele di pregevole fattura poste sugli altari ed un vivace affresco sull’arco trionfale del transetto, risalente al 1801, data del restauro della Chiesa, riproducente lo stemma civico di Squinzano, con l’aquila ad ali spiegate per necessità architettoniche. La torre campanaria, portata a termine nel 1658, opera in sobrio ed elegante barocco del concittadino Saverio Tommasi, ha forma quadrangolare che si va rastremando nei piani superiori; è alta 32 metri dal suolo sottostante e 80,35 metri sul livello del mare.

CHIESA MATER DOMINI
In tempi remotissimi, sulla via che portava a Cerrate, alla periferia del paese (attuale Via Mater Domini), ai primi del Cinquecento, a devozione di don Pietro Capuzzimati, sorse una cappellina sui ruderi di un’altra più antica dedicata a S. Maria, Mater Domini, della quale nulla o quasi si sa, tranne che probabilmente era di pertinenza dei monaci basiliani, accesi fautori del culto mariano. Invece, nella relazione di mons. Polidori durante la Visita Pastorale del 1676, si legge che questa piccola nuova cappella distava pochi passi dal paese, che non aveva alcuna rendita, che vi si celebrava tre volte al mese, ed infine che la 2° domenica dopo Pasqua era meta di una processione, alla cui conclusione l’Arciprete vi celebrava la Messa cantata sul piccolo ed unico altare, sormontato dall’immagine affrescata della Vergine Maria. Solo agli inizi del Settecento (1727) accanto ad essa si aggiunse un corpo di fabbrica più grande e architettonicamente più complesso, destinando l’originaria cappellina a sacrestia. Mezzo secolo dopo, poi, ci furono altri importanti rifacimenti, grazie al contributo di un devoto, come si può rilevare da un’epigrafe, posta sulla facciata al di sopra del portone e datata 1778. Ma fu per la generosità di una ricchissima pia donna di Galatone, Giuseppa De Paulo, che l’ormai ampia navata fu arricchita ai primi dell’Ottocento dai due altari, dedicati alla Beata Vergine di Sanarica e alla Madonna del Buon Consiglio. Sicché nel frattempo, solo il 22 febbraio 1921, il vescovo, mons. Gennaro Trama, la eresse a parrocchia, intitolandola a Mater Domini. Per cui, fu poi mons. Egidio Manieri, nominato primo parroco il 26 maggio 1923 che, negli anni ’30, vi apportò ulteriori modifiche, aggiungendovi altri locali e restaurandola di nuovo con immensa soddisfazione del vescovo dell’epoca, mons. Alberto Costa, che la volle riconsacrare il 22 aprile del 1937, durante le solennità del Congresso Eucaristico diocesano, svoltosi fastosamente a Squinzano.

CAPPELLA DI SAN LEONARDO
Nei primi decenni del secolo XVII, il Clero squinzanese fece erigere per disposizioni testamentarie dettate da un sacerdote, don Santo Serratì, una chiesuola intitolata a S. Leonardo e a Tutti i Santi, con l’obbligo di celebrarvi una S. Messa tutte le domeniche ed i giorni festivi. Dalla S. Visita del 1640 di mons. Pappacoda sappiamo che essa era ben costruita, che aveva il tetto a volta, un’unica porta, quattro finestre ed un altare, alle cui spalle si mostrava ancora, nel 1676, un bel dipinto raffigurante S. Leonardo e tutti i Santi. Nel 1851 però il Vescovo Caputo, nella sua S. Visita, ne ordinò la chiusura a causa delle sue cattive condizioni, prescrivendone, ovviamente un urgente restauro. Cosa che purtroppo avvenne mezzo secolo dopo, quando, per la generosità di una fervente devota, tale Vincenza Lia, nel 1903 fu ricostruita e reintitolata alla Vergine del SS. Rosario. Riaperta finalmente al culto, furono officiate diverse liturgie in occasione di particolari ricorrenze e riti, riguardanti la nuova Titolare, S. Michele ed altre festività, nel frattempo divenendo anche, in via provvisoria, la cappella di riferimento per le due confraternite della SS. Annunziata e delle Anime del Purgatorio. Successivamente, nel corso degli anni ’80 del secolo scorso, fu però di nuovo inspiegabilmente abbandonata, ed addirittura adibita per qualche anno a deposito di mercanzie! Per fortuna, dopo alcuni piccoli restauri, fu nuovamente riaperta al suo originario uso sacro, iniziando ad ospitare, tra l’altro, le riunioni della neonata Confraternita di S. Antonio da Padova. Prima del suo accidentale crollo nell’estate del 2007, dovuto alla demolizione dell’attiguo cinema Vallone, l’interno presentava ancora un altare barocco in pietra leccese, inquadrato da due colonne tortili ed adornato da un gruppo statuario della Vergine in atto di porgere il rosario a S. Francesco ed a S. Rita. Nella cappella si conservavano inoltre le statue di S. Michele, del Taumaturgo padovano, quella di S. Leonardo e di altri Santi, ora custodite provvisoriamente in un vano del Palazzo Rosina Frassaniti, in attesa dell’ultimazione dei lavori del suo completo restauro.

CHIESETTA DEL CARMINE
Poco distante da S. Leonardo, c’è la cappella della Madonna del Carmine, originariamente di pertinenza del principe feudatario di Squinzano, ed ora di proprietà degli eredi della famiglia Campa-Sansonetti. Annessa al palazzo omonimo, fu costruita dalle fondamenta, nel corso del Seicento, da don Gabriele Agostino, giovane rampollo dei nobili Enriquez, come ricorda mons. Pignatelli nelle sue Sante Visite del 1680 e del 1698. Vi si può accedere sia dall’interno dello stesso palazzo per mezzo di una minuscola e ripida scala, sia dal portone esterno, posto di fronte all’ex cinema Vallone in via Matteotti. La facciata evidenzia una linearità e semplicità sorprendenti, rispetto ai tempi della sua costruzione. Anche l’interno è molto semplice, con una volta dalle lunette un tempo affrescate ed un unico piccolo altare di marmo intarsiato, ornato da una tela seicentesca raffigurante la Madonna del Carmine, e di fronte al quale una volta c’era, sulla porta d’ingresso, una specie di davanzale, o tribunetta che dir si voglia (ora murata), da cui i Principi potevano assistere alle varie funzioni religiose. Da moltissimi anni ormai, però, tale Cappellina è sconsacrata.

CAPPELLA DI SAN GIOVANNI BATTISTA
L’originaria chiesetta pare sia stata eretta negli ultimi decenni del 1600 per volontà dei fedeli devoti del Santo Precursore. Nella relazione sulla Visita di mons. Polidori del 1670 ci sono interessanti elementi su di essa. Tra l’altro, si legge che aveva il tetto di legno, che c’erano tre finestre, due porte, e accanto due vani utilizzati esclusivamente per ospitare pellegrini e poveri. Inoltre, si può evincere pure che si celebravano con una certa solennità le feste di S. Giovanni e dell’Immacolata Concezione. Essendo però quasi cadente già verso la metà del Settecento, fu restaurata a spese della Confraternita omonima, insediata lì da più di un secolo, che, si potrebbe dire, la rifece dalle fondamenta con approvazione regia del 1777 (come ricorda una lapide posta all’interno sul portale), ingrandendola, coprendola con una volta a botte lunettata ed aumentandone il numero di altari. Allora si moltiplicarono anche i vani dell’antico ospizio, per poterne riservare uno come stalla, e altri due come nosocomio per la cura dei confratelli malati, per i quali, è bene ricordare, c’erano pure due sepolcreti nella chiesa, oltre ad un altro paio concessi a famiglie benefattrici dell’epoca. I resti di tale caritatevole fabbricato, pur con tutti i cambiamenti subiti nei secoli, sono ancora riscontrabili nel vicolo immediatamente retrostante la stessa cappella. Va detto inoltre che originariamente, a stare alla relazione della S. Visita del vescovo Pignatelli del 1680, nello spazio antistante la chiesa, davanti al portone centrale ed alla porta laterale, c’era un piccolo cimitero, a cui si accedeva tramite dei gradini. Infine, all’interno, negli ultimi decenni del secolo scorso, tra gli altari di S. Vincenzo e dei SS. Rocco e Francesco Saverio, fu realizzata una suggestiva grotta per porvi la statua della Vergine di Lourdes, che insieme alla tela seicentesca dell’altare maggiore raffigurante l’Immacolata Concezione, è l’immagine più venerata.

CAPPELLA MARIA REGINA DEI MARTIRI
Secondo quanto si legge nella relazione della Visita Pastorale del 1683 di mons. Pignatelli, una piccolissima chiesuola, intitolata alla Madonna dei Martiri, era già esistente, poco lontana dalla chiesa del Calvario, nella prima parte del Seicento. Essa era così stretta, da poter accogliere sì e no un paio di persone. Alcuni anni dopo, nel 1698, sempre il medesimo Vescovo, in un’altra sua Santa Visita ci fa sapere che, a ragione delle sue precarie condizioni statiche, sul finire del Seicento questa cappelluccia fu ricostruita, ingrandita, dotata di un tetto di canne ed abbellita a dovere nelle pareti con degli affreschi, grazie alle offerte raccolte tra i devoti. La sua facciata esterna è di un’essenzialità estrema, ed evidenzia solo un piccolo e semplice portale, sormontato da un minuscolo finestrino ovale. Anche il suo interno è di una semplicità unica: è a forma di auletta, coperta da una volta a botte lunettata, con un solo altare molto lineare, ed adorno di un dipinto settecentesco raffigurante Maria Regina dei Martiri. Originariamente, sul muro ove poi fu addossato nel corso del tempo tale altare, c’era dipinta solamente l’immagine della Beata Vergine attorniata da alcuni Angeli, nelle cui mani stringevano gli strumenti simboli del martirio. Infine, sino agli anni ’20 del secolo scorso, la cappella era di pertinenza del Seminario Diocesano di Lecce, mentre oggi, di fatto, è come se l’avesse “adottata” un gruppo di devoti, molti dei quali residenti nelle sue immediate adiacenze, come le famiglie Serinelli e Marzo.

CAPPELLA DELLA MADONNA DI LORETO
Leggende, storia e congetture etimologiche, contornano la cappellina intitolata alla Vergine di Loreto. Risalente quasi certamente alla fine del Cinquecento, fu eretta a neanche un chilometro dal paese sulla via per Casalabate, pare sui resti di una più antica piccola grotta basiliana (una làura cioè, da cui “laurito” e poi “loreto”??) scavata sul declivo ricordato come “monte della battaglia” (perché si dice che nel 1528 vi si svolse, in località S. Luca, il famoso scontro tra le truppe francesi e quelle spagnole per il predominio nel Sud d’Italia). Infatti, secondo un’ipotesi non comprovata, la costruzione fu edificata per un “ex voto” del marchese Leonardo Prato, grande Ammiraglio e Comandante di Terra dei Cavalieri di Rodi, che avrebbe avuto salva la vita dalla Madonna in una delle battaglie contro i Turchi. Invece, secondo un’altra , essa fu costruita a ricordo perenne proprio dei morti di questa leggendaria battaglia di S. Luca. Fatto sta che, nel verbale della S. Visita di Pappacoda del 1640, si legge che la cappella fu eretta a devozione di un tale Armelio Manca, nominato in un’iscrizione del 1582 leggibile, al suo interno, sull’iconella dell’Annunciazione (tale immagine tardocinquecentesca è citata per la prima volta nell SS. Visite del 1672 e 1698). Ad ogni modo, quando nel 1990, su iniziativa del rev. Mario Modesto, si eseguirono lavori di restauro, il superstite e malridotto altarino ligneo era ancora adorno di un affresco del sec. XVI raffigurante la Vergine di Loreto, sormontato da uno stemma gentilizio, forse appartenuto alla nobile famiglia Prato, proprietaria in origine della cappellina.

CAPPELLA DI SAN GIUSEPPE PATRIARCA
È nella S. Visita di mons. Pignatelli del 1698 che, nella sua relazione, si menziona per la prima volta la cappella di S. Giuseppe, fatta costruire nel 1696 (la data è incisa sull’architrave del portone) dal chierico Antonio Carlo Saetta per espressa volontà di Giustiniano Angeletta e, originariamente dotata di un altare con una tela raffigurante S. Carlo Borromeo. Invece, da quella di mons. Caputo del 1851, si ricavano i motivi della sua interdizione ed inidoneità al culto divino, nonché le sollecitazioni perché si risolvesse tale increscioso problema al più presto. Purtroppo, però, la sua riedificazione avverrà alla fine del secolo XIX, nel 1891, a devozione del sig. Francesco Taurino, poi confratello dell’omonima congrega, sorta qualche anno dopo. Infatti, nel 1904 mons. Trama, nella sua Visita Pastorale farà gli elogi ai confratelli per la pulizia e l’ordine riscontrati nella cappella. Essa ormai si presentava con l’altare maggiore dedicato a S. Giuseppe Patriarca e con altri tre (nicchie più che altari) dedicati a S. Anna, all’Addolorata ed al Sacro Cuore di Gesù. Successivamente, intorno agli anni ’30 del secolo scorso, fu decorata con pitturazioni parietali, che ricordavano scene della vita di Gesù e i Quattro Evangelisti. Infine, nel 2008, dopo un lungo periodo di chiusura e abbandono, essa è stata convenientemente restaurata per interessamento della Confraternita e riaperta doverosamente al culto.

CAPPELLA DI SANTA ELISABETTA
Questa piccola cappella, lontana circa 4 chilometri dal nostro centro abitato e molto più vicina a Torchiarolo, fu fatta edificare in piena campagna nel 1642 dalla pia donna Maria Manca (alcuni anni dopo l’erezione della chiesa dell’Annunziata!) in un suo podere, grazie alla sua devozione, ma anche alle offerte di numerosissimi fedeli. Tanto si legge nella relazione sulla Santa Visita di mons. Pappacoda dello stesso anno, ed in quella di mons. Polidori del 1670, da cui, tra l’altro, si apprende pure che in due piccole stanze contigue abitava un “eremita” (così allora si chiamava il sacrestano!) per la custodia e le necessità liturgiche. Quello che c’è di più straordinario dietro a tale costruzione, lo vediamo invece, a sapere da una suggestiva tradizione popolare sorta nel contempo, che sa molto di miracoloso e secondo cui, a sceglierne il sito giusto, furono direttamente le pariglie di buoi, che prodigiosamente si tirarono dietro tantissimi carri stracarichi di conci di tufo, bloccandosi poi tutti quanti, per un disegno soprannaturale, nel posto in cui ancora oggi la chiesetta si trova. Comunque sia, fino a pochi anni fa le sue condizioni non erano delle migliori da ogni punto di vista. Ora però, a seguito dell’interessamento di un gruppo di ferventi devoti, appare più sistemata ed ordinata nella sua essenzialità architettonica, salvo qualche imprudente stonatura estetica. Pianta rettangolare a una sola navata, presenta un’unica porta d’ingresso e una volta a botte. All’interno, nella zona dell’abside, prima che venisse appeso un quadro della Santa titolare, si intravedevano a malapena le tracce di un antico affresco, dal soggetto raffigurato ormai quasi illeggibile.

CAPPELLA DEI DOLORI O PERLANGELI
Tra le pochissime cappelle rurali, situate una volta nel feudo di Squinzano ed oggi ancora esistenti, non si può ricordare quella eretta in contrada Perlangeli, ad un chilometro circa dal paese sulla strada provinciale per Torchiarolo. C’è un atto del 21 giugno 1652 del notaio Antonio Maria Gervasio di Lecce, in cui si attesta la volontà del presbitero leccese, don Innocenzo Gervaso, di costruire questa chiesetta in piena campagna in un suo vasto vigneto, dotandola di una rendita di 12 ducati annui e successivamente di altri lasciti. Nella relazione sulla Visita Pastorale di mons. Pappacoda del 1670 appare ben tenuta: aveva due porte di ingresso, tre finestre, degli affreschi di S. Antonio e di S. Domenico ed un minuscolo campanile a vela con una sola campana. Sicuramente, ad un certo punto, per vicissitudini storiche diverse, ci fu un cambio di proprietà; e ciò spiega perché adesso la porta del prospetto principale cuspidato e sormontata da uno stemma gentilizio, in cui si riesce a leggere distintamente “De Castro”, cognome di una nobile e antica famiglia di origine spagnola, penultima proprietaria dell’ottocentesco palazzo affacciato su Piazza Plebiscito. Ed infatti, nel 1869, un erede dei De Castro, Giuseppe, non potendo erigere una cappella di famiglia al cimitero per mancanza di spazio, chiese ed ottenne dal prefetto di Lecce di poter seppellire i propri defunti futuri in questa sua Cappella, denominata Madonna dei Dolori, o anche soltanto “Perlangeli”, dal nome del podere in cui ancora si innalza. Questo dunque, oltretutto, è il motivo per cui il suo interno, pur se decorato con stucchi, sulle pareti laterali presenta lapidi funebri, e sul pavimento i segni visibili di una botola-ossario.

CHIESA DEL CALVARIO
La cappella della Visitazione della Beata Vergine Maria, o del Crocefisso, o anche del Calvario, è stata sicuramente la prima chiesa parrocchiale della nostra comunità. Già esistente nel 1559, come si può leggere su di una lapide collocata all’interno a sinistra dell’ingresso, fu spesso ricostruita e ristrutturata nel corso dei secoli. Infatti, una prima ricostruzione fu necessaria addirittura nel 1640, quando nella sua Visita Pastorale, mons. Pappacoda, la trovò in condizioni disastrose, tanto da interdirla al culto, perché oltretutto era diventata rifugio di gente di malaffare. In ogni caso, la cappella all’origine era di dimensioni minori rispetto all’attuale. Quasi certamente doveva comprendere solo una parte del presbiterio presente oggi, e la campata che racchiude il Cappellone del Crocefisso, di fronte al quale era posta la porta di ingresso principale. Tale planimetria cambiò radicalmente nel 1906, allorché, su progetto dell’ing. Gaetano Marschizek, la cappella fu prolungata con l’aggiunta di una seconda campata e la facciata rifatta completamente. Inoltre, solo quattro anni dopo, nel 1910, ci furono ad opera della Confraternita dell’Addolorata altri importanti rimaneggiamenti, tra cui il rifacimento dell’antico Calvario (poi di nuovo demolito per dar posto a quello attuale sorto nel 1976) e l’ingrandimento del vano adiacente, dove un tempo era allocata la “Ruota dei proietti”, una sorta di finestrino girevole attraverso cui si cercava di porre al sicuro in quella casetta, sin dalla fine del ‘700, i neonati abbandonati, come ricorda la lapide voluta alla fine dei lavori dal parroco dell’epoca, rev. Angelo Pierri. Ultimati tali innovativi restauri, la chiesa fu riconsacrata da mons. Gennaro Trama, vescovo di Lecce.

CAPPELLA DI SAN SALVATORE
La data di nascita della cappella di S. Salvatore si attesta intorno ai primi anni del Seicento. All’inizio le spese per la costruzione furono affrontate da un gruppo di fedeli. In seguito, in fase di completamento, intervenne il chierico Francesco Carboneri, un ricco possidente molto devoto abitante nei paraggi. Inizialmente era molto più piccola di adesso, con tetto ad embrici, un altare con l’immagine del Salvatore ed un’unica porta. Ma già nel 1640 mons. Pappacoda, in una sua Santa Visita, la trovò in tali pessime condizioni, da interdirla al culto ed al pubblico, ed ordinò di restaurarla quanto prima, pena il suo abbattimento addirittura. Nonostante ciò, però, rimase in stato di abbandono per moltissimi altri anni, e solo nel 1682 la risistemarono, utilizzando i redditi rivenienti da un ricco lascito che il medesimo chierico Carboneri aveva concesso al Capitolo squinzanese. Successivamente, nel 1741, la chiesetta fu dotata di un rinnovato altare maggiore, su cui continuò a campeggiare il dipinto raffigurante la Trasfigurazione di Cristo, già presente nella Visita Pastorale del 1683 di mons. Pignatelli. A partire poi dal 1860, la cappella rimase di nuovo a lungo abbandonata, tanto da costringere, nel 1881, mons. Zola a chiuderla, sempre per ragioni di sicurezza fino ad un suo improcrastinabile restauro. Così, ancora una volta, si eseguirono degli urgenti lavori grazie all’ingente patrimonio lasciato al Capitolo dal parroco Donato Carboneri, nipote del già ricordato chierico. Invece, nel 1907, fu per l’interessamento di mons. Vincenzo Riezzo che, con il contributo generoso di tanti fedeli, si risolse il problema delle sue cattive condizioni statiche, aggiungendovi dei pilastri lungo le pareti laterali, rifacendo la copertura, e costruendo una piccolissima sagrestia accanto all’altare maggiore. Infine nel 1950, sempre per alcune sue criticità, fu ristrutturata dal Genio Civile, e ingrandita con un piccolo vano di servizio ed un ortalino. Nello stesso anno inoltre, sull’altare maggiore, fu sostituito il dipinto originale della Trasfigurazione di Cristo (ormai quasi invisibile) con quello attuale, di identico soggetto ed a firma del trepuzzino Antonio Valzano.

HOSANNA
Eretto anteriormente al 1680, sorgeva nell’attuale via A. Diaz, all’incrocio con via Stazione e via Maggiore Galliano, anticamente denominata Strada dell’Hosanna, o del Sannà. Fu trasferito, con deliberazione consiliare n. 50 del 18/ 10/1897, dal centro del quadrivio, dove ormai era di pericoloso ostacolo al traffico, nell’attuale piazza S. Anna Olmi, nel luogo dove sorgeva un’antica cappella dedicata alla santa, demolita per volontà del sindaco Emilio Campa, perché fatiscente. È costituito da una colonna ionica innalzata su tre gradini ed è sormontato e concluso in alto da un globo crucifero.

PALAZZO CAMPA-SANSONETTI
Situato su via Vittorio Emanuele II, a pochi passi da piazza Plebiscito, ha una storia molto lunga. Si tratta infatti dell’antico Palazzo baronale, appartenuto un tempo agli Enriquez principi di Squinzano e poi ai loro successori, i Filomarino, che in realtà non vi dimorarono mai”. Della facies esterna originaria oggi non resta che il bellissimo portale d’ingresso in carparo con bugnature che immette in un porticato coperto da volta a botte, cui segue un cortile. Tale portale era un tempo arricchito dallo stemma di Squinzano (il più antico arrivato ai nostri giorni) e della famiglia Enriquez, che oggi si conservano presso la famiglia Campa, proprietaria dell’ala destra del palazzo, la più antica. L’edificio ha poi subito nel corso dei secoli varie trasformazioni, che hanno sconvolto l’insieme, portandolo alla forma attuale.

PALAZZO CAPUZZIMADI
Il palazzo era di proprietà della nobile e potente famiglia dei Capuzzimadi, di origine albanese, giunta a Squinzano intorno alla metà del XVII secolo al seguito del Principe di Squinzano Gabriele Agostino Enriquez. L’edificio, che sorgeva di fronte alla chiesa madre di S. Nicola, sembrava una vera e propria fortezza: vi era un grande atrio, al quale si accedeva da un imponente portale sormontato dagli stemmi della famiglia e attiguo ad esso una piccola cappella dedicata a S. Giuseppe. La presenza dell’edificio è testimoniata da una stampa francese del ‘600. Nel ‘700 circa, l’atrio del castello fu trasformato in piazza. Negli anni trenta dell’Ottocento il Capitolo, per valorizzare la vista della maestosa Chiesa Madre, notevolmente ridotta per la presenza di questo edificio, venne a trattative con Pietro e Antonio Capuzzimadi per l’acquisto dell’immobile, che venne in parte abbattuto. L’edificio ospitò per qualche giorno (dal 18 al 21 aprile 1913) anche il re Gioacchino Murat nel suo viaggio a Lecce. Venne poi acquistato nel secondo decennio del XX secolo dal barone Balsamo. Della costruzione oggi rimane solo una specie di torre aperta da un grande arco, che si scorge ancora se ci si mette di spalle alla Chiesa Madre e si guarda a destra, verso l’angolo della piazza.

PALAZZO GHEZZI
Nel palazzo, vi abitava un tempo il sacerdote don Michele Ghezzi. Si dice che fu proprio lui a far incidere sulla cornice della finestra che si affaccia su un elegante balconcino mensolato la seguente frase: “INVIDIA INVIDENTI NOCET/1515″ (l’invidia nuoce a chi invidia”). Nella parte centrale dell’edificio, dal prospetto semplice ed essenziale, si innesta un corpo-torre impreziosito da un elegante balconcino che poggia su sette mensole sorrette da figure umane; alternativamente mascheroni, busti maschili e busti femminili. Una finestra trabeata si apre nell’arcata a tutto sesto.

PALAZZO CAMPA-ALARI-LEONE
Il sontuoso palazzo, costruito verso la fine del XIX secolo, è prospiciente la cappella di S. Giovanni Battista. L’edificio, leggermente rialzato rispetto al piano di calpestio, si sviluppa su due piani e presenta una facciata molto semplice, arricchita da piccoli riquadri affrescati con girali e conchiglie. Il piano terra, presenta un salone con volte affrescate. Nelle stanze del primo piano, si possono ammirare tre volte affrescate nella prima metà dello scorso secolo dal pittore Matarrelli.

PALAZZO DE CASTRO
L’edificio ottocentesco, sito in piazza Plebiscito, apparteneva alla nobile famiglia De Castro. La facciata, molto semplice, presenta al piano inferiore un portale e a quello superiore cinque finestre, tre delle quali sono sormontate da un timpano triangolare, mentre le due finestre in asse con il portale sono sormontate da un arcuato. Un aggettante cornicione con mensole, lo corona. Gli archi e le cornici sono opera dell’architetto G. Miglietta.

PALAZZO FRASSANITI
L’edificio è di proprietà della famiglia Frassaniti, di origine spagnola, che nel 1400 possedeva a Sandonaci molti terreni, circa 600 ettari, tutti a vigneto. I lavori di costruzione del palazzo iniziarono verso l’ultimo decennio del 1800 su progetto del famoso ing. Gaetano Marschizek per volere di Nicola Frassaniti, sindaco di Squinzano per ben tre volte.

PALAZZO ROSINA FRASSANITI
L’edificio, sede un tempo dell’asilo infantile con scuola di musica e ricamo, diretto dalle Suore di S. Anna, fu realizzato nel 1904 dall’ ing. Gaetano Marschizek. La facciata presenta un portale impreziosito da un piccolo archivolto intagliato e retto da una coppia di colonne, adorne di ricchi capitelli. Nel piano superiore, al centro, in asse con il portale, si apre una bifora, affiancata da lesene, due per lato, sulla cui sommità, tra le volute, sporgono testine umane. Tra gli archi delle bifore è collocato lo stemma della famiglia raffigurante un albero di frassino, un serpente avvinghiato ad esso e tre piccole stelle. Completa la facciata una cornice decorata da piccoli fiori. Gli intagli sono opera del trepuzzino Adamo Miglietta. All’interno un tempo si ammiravano delle bellissime volte affrescate. Attualmente l’edificio è disabitato.

PALAZZO DE FILIPPIS
L’edificio è a due ordini: quello inferiore, rivestito da un bugnato orizzontale, presenta tre portali a tutto sesto, che introducono all’interno del palazzo, intervallati da due piccole porte. In corrispondenza del portale centrale, al piano superiore, si apre una trifora con balcone, ritmata da quattro piccole lesene con capitello (lisce nella parte superiore, scanalate in quella inferiore) e arricchita da una lunetta con un mosaico raffigurante un volto femminile. Sugli angoli superiori laterali della lunetta spiccano due sfingi alate, sedute di profilo. In corrispondenza dei portali laterali si aprono, invece, due bifore, ritmate da tre paraste e sormontate da un riquadro rettangolare, in cui si possono ammirare bellissimi mosaici raffiguranti, all’interno di medaglioni dorati affiancati da draghi, differenti profili di donna. La trifora centrale e le bifore laterali sono intervallate da due semplici finestre e sono scandite da sei lesene con capitello. Il perimetro superiore è coronato da una cornice modanata. L’interno presenta volte affrescate dal pittore Tortorelli di Lecce. L’edificio attualmente è di proprietà del nipote del defunto dott. Michele De Filippis.

PALAZZO SERINELLI
L’edificio, sito a pochi passi dalla cappella del SS. Crocifisso, fu costruito nei primi decenni del sec. XX dalla famiglia Serinelli e, in seguito, donato alle suore di S. Anna. Il prospetto dell’edificio presenta, ai lati, due grandi archi affiancati da una coppia di lesene terminanti con un motivo floreale. Lo stesso motivo, con l’aggiunta dello scudo con la S (iniziale del cognome della famiglia), è ripreso nello spazio compreso tra le lesene e l’estradosso dell’arco. L’arco sinistro inquadra la porta d’ingresso, quello destro una grande finestra, mentre tra i due archi ne sono comprese altre quattro, di più modeste dimensioni.

PALAZZO RUSSI
Il palazzo, sito sul lato destro della parte terminale dell’ex via Fontanelle, fu edificato nei primi anni dello scorso secolo dal dott. Pasquale Russi. Si dice che l’edificio venne costruito sulle rovine del castello della nobile famiglia Moretti, che ormai alla fine del XIX secolo era in rovina. Di esso rimarrebbe un’immagine dipinta sullo sfondo della pala destra del Trittico della Madonna dei Martiri, che adorna l’altare omonimo nella chiesa madre di S. Nicola a Squinzano. Sullo sfondo della pala sono infatti visibili una grande torre rotonda affiancata da due altre torri quadrate più piccole.

PRINCIPALI EVENTI FESTE PATRONALI MERCATI E SAGRE

6 DICEMBRE FESTA DI SAN NICOLA
San Nicola di Myra è uno dei santi più venerati al mondo, protettore dei deboli e di coloro che subiscono ingiustizie, dei naviganti, dei mercanti e dei bambini. La figura del Santo è associata a quella di Santa Claus e viene festeggiato nel giorno del 6 dicembre, in cui ricorre l’anniversario della sua morte. La festa patronale è caratterizzata dall’esibizione della nota banda municipale di Squinzano che sfila per le vie del paese e dalla fiera mercato che apre le festività natalizie.

25 MARZO FIERA DELL’ANNUNZIATA
Appuntamento tradizionale di fede e commercio del territorio del nord Salento. La fiera si svolge ogni anno il 25 marzo ed è una delle fiere più antiche di Puglia, la sua fondazione risale al 1834. A far da cornice a questo grande appuntamento con la tradizione all’inizio di primavera, sono le sacre funzioni n onore della Madonna a cui è dedicato lo splendido Santuario alla periferia del paese eretto nel 1618 a cui è legato l’evento prodigioso dell’apparizione della Santa Vergine alla squinzanese Maria Manca. La fiera si conclude nella serata con uno spettacolo di fuochi d’artificio nei pressi del santuario.

MERCOLEDI’ MERCATO SETTIMANALE
GIOVEDI’ MERCATO RIONALE

PUNTI DI INFORMAZIONE TURISTICA
VIA VITTORIO EMANUELE II, 2
PRO LOCO SQUINZANO
Tel: 3775363303
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